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#26 — Editori e dintorni

Buonasera, laboratorianti!


Ripartiamo col botto in questo finale di lunedì e affrontiamo un argomento scottante: gli editori e il lavoro delle professioniste con p.iva.



Qualche anno fa (sei, precisamente) insieme ad altri, mi ha contattata un editore offrendomi il ruolo di editor per i suoi testi. Feci una prova di valutazione; me ne avevano richiesta una approfondita, di un romanzo inedito (piuttosto bruttino). La prova piacque molto così entrai a far parte del team.

Non avevo un inquadramento in collana, lavoravo (come tutte le altre ragazze) ai testi che capitavano. Se avessi voluto avrei potuto portare un libro in Casa Editrice, addirittura scriverlo. Ero abbastanza libera, e abbastanza confusa. E, a dirla tutta, abbastanza sfruttata.


Il mio compenso era una percentuale sulle vendite degli eBook (era un editore digitale) del 5% circa. Mi spiego meglio. L’editore in questione pubblicava solo su Amazon. Amazon dà agli editori come agli autori o il 70% o il 35% di royalty a seconda di più opzioni, e la mia percentuale era il 5% o di quel 70% o di quel 35%, senza sapere il perché e il per come di una o dell’altra scelta. Oltre a questo, un forfettario di 100 € a libro. Così.


Ho fatto una cavolata ad accettare?

Ebbene . Tra poco vi spiego il perché (se non fosse già evidente).

Al tempo collaboravo già con due service e tre editori. Ad oggi ho circa dieci editori tra i committenti (con collaborazioni non fisse, cioè un editore mi contatta e mi dice: “puoi?” e allora “sì o no” magari due o tre volte l’anno) e con quattro service e aziende differenti. Diciamo che capisco decisamente meglio come funzionano le cose.


Quindi: perché non avrei dovuto accettare?

1. Io non sono un editore. Ciò significa che non sono un imprenditore, che non devo assumermi il rischio d’impresa. E questo vuol dire che non devo rischiare di prendere meno compenso se il libro non va bene.

2. Far assumere alle persone che lavorano per te il rischio d’impresa significa non essere un imprenditore, e questo dovrebbe dirla lunga.

3. L’editore in questione imponeva tempi folli e, cosa gravissima, non passava a una correzione di bozze dopo l’editing, ma a sole beta reading. Questo significa che il refuso era colpa mia, la virgola sbagliata pure. Ed ero a malapena pagata per l’editing*

4. Era mio compito, tra l’altro, impaginare il testo su un documento Word – ho detto tutto.


*Aneddoto: la chiusura definitiva della collaborazione con questo editore è stata dovuta proprio a una correzione di bozze. Avevo dovuto anticipare l’editing di un loro testo (scelto da loro e a mio parere non pubblicabile) di due settimane; perciò, il lavoro era stato fatto di fretta senza particolare attenzione ai refusi (che, lo ricordiamo: non sono compito nostro se svolgiamo solo editing). Mi era sempre stato detto che il testo passasse per una correzione di bozze approfondita. Eppure, alla consegna del file mi sono ritrovata a discutere animatamente (per non dire altro) con la redattrice e l’editore perché la “correttrice di bozze” (una beta reader) aveva fatto una lista degli errori riscontrati nel testo (una lista: era una beta, non una corretrice che altrimenti avrebbe dovuto leggere il testo almeno due volte). Si parla di parole doppie, di refusi, di virgole, di modifiche riportate male eccetera. A quel punto ho specificato che con i tempi stretti e con la sicurezza di una vera correzione di bozze avevo velocizzato la procedura. Putiferio: sarebbe stato compito mio correggere i refusi, assicurarmi che l’autrice rileggesse, tenere i contatti con le ragazze del marketing, individuare le parole chiave di Amazon, stilare la IV di copertina, impaginare e saltare su una gamba sola cantando trallallà sotto la luna piena. Ho risolto strappando il contratto.


Ecco, vi assicuro che non è una sola realtà a operare così, raccogliendo qualche testimonianza ho individuato decine di editori che compensano a percentuale il lavoro di editing narrativo.


Dunque, come dovrebbe funzionare una collaborazione, davvero?


Con una quota a cartella.

In questo articolo di Redacta (https://www.actainrete.it/2020/06/11/quanto-devo-farmi-pagare/) trovate una tabella di prezzi e dei ragionamenti molto interessanti (non è l’area riservata a pagamento, è a lettura free).


I tempi di pagamento non devono superare i 60 giorni, altrimenti è illegale. In editoria, 60 giorni sono una vera utopia (scusate la rima).


Le collaborazioni devono sempre, sempre, essere regolate da un contratto. Se potete, sottoponete questo contratto a un ufficio legale.


I compiti dell’editor (i vostri) devono essere scritti nel contratto. Devono essere chiari.

Per ogni libro (a meno che non siate assunte o non sia un progetto di gruppo) ci vuole un nuovo contratto (se avete partita iva, se siete assunte il contratto è iniziale e singolo).


Le linee editoriali e di collana devono essere sempre comunicate. Ogni lavoro deve essere controllato, ciò significa che l'editore non dovrebbe abbandonarvi al vostro destino e lamentarsi a cose fatte, ma farvi avere riscontri immediati (l'editore o chi per lui e di dovere). Se l'editore non ama lo SdT o preferisce la parola "vibratore" a "dildo" (sì, mi è capitato) deve comunicarvelo, non aspettarsi che voi lo sappiate per fax dal cielo. Per questo consiglio sempre di aggiornare sul vostro lavoro strada facendo e non a conti fatti.


I tempi di consegna devono essere stabiliti da principio. C’è un margine, è normale, ma deve essere anch’esso specificato. Ad esempio, un margine di cinque giorni prima o dopo; il margine massimo, insomma.


Voglio aggiungere un'altra cosa.

E se il romanzo che stiamo lavorando mi fosse arrivato da una CE?


Parlo di cosa avrei fatto io e ricordo che ognuno ha idee e metodi diversi.

In prima battuta, se mi fosse arrivato questo testo (La mamma) da un editore avrei richiesto una call o un incontro per poter proporre una proroga. Date le ottime potenzialità avrei spiegato all’editore che con due/tre mesi di editing e di confronto con l’autrice avremmo potuto avere ottime possibilità di riscontri positivi. Nel 90% dei casi mi avrebbero risposto di no (ma per quel 10% si prova sempre!) e a quel punto avrei stilato una lista di cose essenziali e strutturate da fare (dunque una sorta di valutazione per l’autore) e l’avrei consegnata all’autrice. Mettiamo un tempo (ragionevole) di tre/quattro settimane prima della consegna alla correzione di bozze. Questa, più o meno, la mia “tattica”:

1. Un giorno di lettura + scheda macro (macro editing)

2. Un giorno di call con l’autrice per spiegare e chiarire questi dubbi

3. Una settimana di tempo all’autrice per effettuare le modifiche

4. Una settimana di rilettura delle aggiunte e cambi/modifiche e confronto con l’autrice (line editing)

5. Il tempo restante per editing vivo e rilettura.


Nulla di più, purtroppo. Questo, però, non significa che il testo sarebbe stato uno schifo, significa solo lavorare in diminuzione e non in approfondimento (come invece stiamo facendo noi). Ovviamente, preciso, non tutti gli editori hanno tempi così stringati; i medi e piccoli possono concedere anche i tre mesi sperati per l'editing di un testo.


Spero di esservi stata utile!

Se ci sono domande, come sempre, scrivetemi una mail.


Sono anche molto curiosa di sapere cosa ne pensate sul fattore "editori", se vi va, scrivetemi!


Buona serata!

A presto,

G.



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