#4 – L'editing è un metodo
Buonasera, laboratorianti!
Come va? Avete già iniziato l’esercizio?
Qui, la solita pulce nell’orecchio: la scadenza è per lunedì alle 12:00!

Detto questo, oggi parliamo di editing, e di metodo.
Il titolo, però, dovrebbe essere diverso, quindi lo correggo: L’editing è (anche) un metodo.
Anche, certo, perché l’editing è tante cose: lo studio e la teoria della narratologia; lo studio e la teoria della storia dell’editoria e della filiera e di un pizzico di marketing, l’esperienza e le capacità personali e, in fine ma non per importanza, il metodo. Il vostro metodo.
Di questo, vi ho anticipato qualcosa durante la prima lezione, ma lo ripeto: quello che il laboratorio vuole fare e che mi auguro accada e indirizzarvi nella scoperta del vostro unico e personale metodo di lavoro.
Perché il lavoro sui romanzi – generalmente indicato come l’attività di valutare, di correggere e suggerire e di aggiustare sotto tutti gli aspetti contenutistici e stilistici un testo – è in grande misura un approccio unico e personale che ognuna di voi sviluppa a partire dal suo gusto e dalla sua sensibilità (intesa proprio come capacità di riconoscere un dato elemento narrativo e distinguerlo all’interno di un romanzo), e che si va formando seguendo le regole di oggettiva analisi (ovvero la teoria), e le esperienze vissute durante la lettura.
Sembra un discorso più complicato di quanto non sia, ma cerco di spiegarmi meglio: tutte noi partiamo dal nostro gusto, da ciò che ci piace, e per questo poi scinderlo da ciò che funziona risulta complicato – ma non c’è altro modo, per lo meno non all’inizio. Partendo dal nostro gusto e dalla nostra sensibilità arriviamo poi, attraverso lo studio e l’esperienza, a saper distinguere il soggettivo dall’oggettivo, il bello soggettivo dal bello oggettivo, così come il brutto; e, soprattutto, attraverso il nostro metodo di lavoro e di approccio ai testi (e a chi quei testi li ha scritti) arriviamo a saper gestire editing e valutazioni diametralmente opposte, o che richiedono strutture di valutazione e di confronto con l’autrice/autore differenti.
Questo significa forse che dobbiamo essere editor qualunquiste?
Certamente no. Come professioniste potete decidere di lavorare a un solo filone (di genere o di stile), e – lasciateci questa gioia! – decidere anche con quali tipi di romanzi lavorare. Oppure decidere di essere onnivore – solo a patto che lo siate anche come lettrici – ma di questo parleremo in un altro articolo. Per ora, concentriamoci sul metodo.
So che è difficile decidere a tavolino “il metodo” e in effetti non penso sia il modo migliore per farlo. Quello che, invece, a mio parere funziona è lo sperimentare. L’approccio alle persone è qualcosa di talmente intimo e insito nel nostro carattere che non si può comandare, né insegnare se non oltre i buoni canoni di comunicazione e educazione, ma quello ai romanzi è tutta un’altra storia.
Il metodo di lavoro lo si costruisce con gli anni e lo si modella di volta in volta, indossando un abito diverso per ogni occasione, modulando la voce dei commenti o delle revisioni e ciò che cerchiamo in un testo a seconda dello stesso testo che ci viene proposto. Sperimentare metodi nuovi (durante il LAB potrete farlo in un ambiente, chiamiamolo così, protetto) è un ottimo punto di partenza per capire quale fa al caso vostro, sia a livello di personalità sia per quanto riguarda l’organizzazione della vostra vita al di fuori del lavoro.
Per metodo, però, non intendo soltanto le fasi di lavoro (lettura + preventivo oppure prova + preventivo + confronto, oppure preventivo e consulenza + prova e editing ecc.), ma l’approccio, il criterio di modifica del romanzo e di intervento sulla storia.
Faccio l’esempio con quello che è il mio metodo, che potrebbe essere anche parte del vostro oppure no. Il mio criterio di modifica si basa su cinque semplici domande che ho individuato nel mio metodo solo dopo un bel po’ di tempo ed esperienza (sì, ché bisogna studiare anche noi stesse). Dopo il primo anno dall’apertura della partita iva mi sono resa conto che i miei commenti o le mie revisioni apparivano (in maggior misura, chiaramente, non in maniera assoluta) solo in risposta a cinque domande.
Le scene, i dialoghi, le strutture e gli elementi narrativi: grandissima parte dei miei interventi si rifacevano a questi tre interrogativi:
1. Nell’economia narrativa specifica di questo romanzo, questa scena/frase/capitolo ecc. è necessario?
2. Nella narrazione complessiva specifica di questo romanzo, questa scena/frase/capitolo ecc. ha uno scopo?
3. A livello contenutistico e/o a livello stilistico, in questo romanzo specifico, questa scena/paragrafo/capitolo ecc. è coerente?
4. Nella narrazione complessiva specifica di questo romanzo, questa scena/paragrafo/capitolo ecc. supporta uno dei quattro pilastri narrativi? – trama, personaggi, atmosfera e stile
5. Nella narrazione peculiare specifica di questo romanzo, questa scena/frase/capitolo ecc. è comprensibile?
Ora, prima una piccola legenda. Per economia narrativa si intende generalmente il riferimento alla lunghezza del testo in rapporto a ciò che ha da dire (ovvero, se possiamo dire bello al posto di splendido diciamo bello). Per narrazione complessiva si intende la storia nella sua totalità; mentre per narrazione peculiare si intende quella parte di storia, che può riferirsi a un atto narrativo o a una scena prolungata.
Dunque, se la risposta a queste domande era sì, allora non toccavo nulla o modificavo/commentavo di poco; se la risposta era no allora revisionavo o commentavo approfonditamente.
Questo fa parte del metodo, ma non è tutto. Nel metodo figura anche l’approccio, e ognuna dovrebbe avere un approccio differente. Così come le voci narrative degli autori e delle autrici si dovrebbero poter distinguere, a mio parere anche un buon editor dovrebbe avere una voce propria.
A questo proposito, vi allego un .pdf con qualche mio commento random ai testi. Vedrete un tono molto diverso, a seconda della persona con cui parlavo e del romanzo, ma spero possiate riconoscere una voce.
Di metodo e di approccio ne parleremo ancora, per ora vi lascio con un’altra frase di Grazia Cherchi (e sotto una sua bibliografia), che vi consiglio di approfondire:
“ […] faccio i segni a matita: l’editor non è una ghigliottina. All’autore mi presento con la gomma in mano, pronta a cancellarli. Però, avverto: peggio per te.”
Ah, la sentite la voce? Di Grazia Cherchi, Scompartimento per lettori e taciturni QUI e la breve biografia di cui vi parlavo Grazia Cherchi QUI.
Ecco il file:
Se avete domande o dubbi, sapete dove scrivermi.
Noi ci risentiamo lunedì,
e grazie!
Gloria
P.S. se volete approfondire un argomento specifico, scrivetemi! Lo inserirò nella lista di articoli del LAB.