Buonasera, laboratorianti!
Come avete trascorso Halloween? Spero tremendamente bene (battuta pessima, ma non ho altre idee!) Oggi, tanto per non farci mancare nulla, parliamo di tempi.
Intanto, cerchiamo di dare una definizione precisa:
«La prima funzione del tempo verbale è quella di indicare quando succede l’evento che esso descrive: nel passato, nel presente, nel futuro. Per poter decidere se un evento è passato, presente o futuro [però] dobbiamo avere un punto di riferimento nel tempo e questo punto è il momento dell’enunciazione, ovvero quello in cui viene enunciata la frase» (Uno sguardo sul verbo: forme, usi, varietà. Fabio Ruggiano, Franco Cesati Editore, 2022, QUI)
Questa prima funzione è detta deittica, ed è la più semplice, sempre riferita all’uso dei verbi di modo finito (indicativo, congiuntivo, condizionale e imperativo). La funzione che viene invece definita anaforica, riguarda i modi indefiniti (gerundio, participio e infinito) e vuole indicare se l’evento è precedente, presente o successivo rispetto non solo al momento dell’enunciazione, ma anche al momento di riferimento, ovvero a un altro evento descritto nella frase. Le funzioni possono accompagnarsi l’un l’altra; per esempio, l’anaforica accompagna sempre la deittica nei tempi del congiuntivo e del condizionale presente. Ma possono essere anche atemporali (“ti dissi di piantarla, ma tu non mi ascolti mai” o “l’ho visto muoversi, ma tu non lo guardi mai”).
Quello che ci interessa oggi, però, riguarda i tempi controdeittici riferiti al modo indicativo, ovvero il tempo che esprime l’opposto di sé: un futuro può descrivere un tempo passato o un tempo passato può descrivere un evento futuro. In italiano la concordanza verbale tra subordinata e principale non è così incatenata come quella latina. Riprendo un esempio che trovate nell’approfondimento Treccani (QUI, che vi consiglio caldamente!)
“Io so che sei a casa”
So=principale
Sei=subordinata
Vediamo, nell’indicativo, la contemporaneità data dai due presenti: so/sei. Ma leggiamo:
“So che arrivò in treno”
So=principale
Arrivò=subordinata
Leggiamo il presente indicativo “so” della principale e la sua subordinata “arrivò” in passato remoto. Ma potremmo mantenerlo con una concordanza verbale di: “so che è arrivato”, ovvero “so” in presente e “è arrivato” in passato prossimo. In entrambi i casi la concordanza è corretta, solo che il passato remoto potrebbe indicare che la persona della prima subordinata “arrivò” (chiamiamolo Mario) arriva “più” prima rispetto alla persona della seconda subordinata “è arrivato”. Vediamo l’esempio:
“So che Mario arrivò in treno un anno fa”
“So che Mario è arrivato in treno ieri”
Fin qui nulla di particolare. Esistono passati “più presenti” e passati “più passati”. Il nostro dubbio si genera in un contesto come quello dell’estratto sottostante:
Arrivammo a casa intorno alle sette di sera. Quella di accompagnarmi a Milano era stata una vera eccezione per Antonio, e probabilmente quello era uno dei “tre giorni” di Martina. Salutai la mamma con un bacio mentre guardava l’ennesima puntata di Downton Abbey. «Stasera pollo?» chiese con gli occhi puntati allo schermo del televisore.
«Va bene» disse Antonio, e sparì oltre la porta della cucina.
«Anche per me» aggiunsi. Salii in camera mia. Fissai il letto disfatto da tre giorni, i quadretti con i triangoli “a tre lati più uno” che aveva dipinto mio padre, e la laurea appesa, in una cornice di pochi euro, sul muro di fianco all’armadio. Era trascorso un anno da quel giorno tutto chiffon e tacchi alti, tutto un grazie-per-questi-anni e occhiate comiche a mia madre. Ora non aspettavo altro che venissero annunciate le date per i colloqui a tre dei licei privati che mi interessavano. Mi piaceva lavorare al negozio da Elena, certo, ma con quello che guadagnavo non potevo permettermi neanche una stanza in affitto. E io volevo trasferirmi. Non troppo lontano, ma decisamente non troppo vicino, da Bettada.
Rosso: passato remoto
Blu: trapassato prossimo
Viola: imperfetto
Verde: atemporali (nel contesto, inclusi congiuntivi e presenti e infiniti ecc.)
L’estratto appena letto viene dal romanzo L’altra di Celeste. Ora, cerchiamo di ignorare le parti atemporali del contesto (verde) e concentriamoci principalmente sul passato remoto e sul trapassato prossimo e imperfetto. Come sappiamo, in ordine gerarchico, volendo porli in una linea temporale, il risultato sarebbe questo:
Eppure, le azioni del presente narrativo (quindi quelle più “vicine” temporalmente nel contesto, nella storia) sono esposte in passato remoto (arrivammo, salutai, chiese, dissi ecc.) mentre le azioni e gli eventi avvenuti prima di quel momento (cioè di quando la protagonista arriva a casa) sono esposte in trapassato prossimo e con l’imperfetto (aveva dipinto, era trascorso). Questo perché, in narrativa, quando il tempo è passato quindi il momento dell’enunciazione è futuro rispetto alla narrazione (ciò che in narratologia si definisce tempo della narrazione), si usa questa tipologia di concordanza per gestire le linee temporali. Dunque, cerchiamo di fare un riepilogo:
– il passato remoto, in narrazioni passate, è il tempo più “vicino” al presente narrativo, il presente fittizio delle azioni
– il trapassato prossimo (e l’imperfetto) vengono utilizzati:
a. per ricordi, digressioni e temporalità antecedente al presente narrativo (dunque tempi controdeittici)
b. per descrivere qualcosa nel presente narrativo ancora attivo in esso
c. per mantenere la contemporaneità grammaticale
– si utilizzano, ovviamente, altri modi e tempi che, nel contesto della storia, assumono funzione atemporale (come lavorare, appesa, permettermi ecc.)
Sugli ultimi due punti, inoltre, notiamo (punto b) che l’imperfetto e il trapassato prossimo, nonché tempi nel contesto “atemporali” si utilizzano quando si descrive qualcosa, inclusa un’emozione/sensazione: «Mi era sempre piaciuto quel posto, da piccola, quando ci trascorrevo le estati con papà e la nonna. C’era il vento, l’ululato dei lupi al tramonto, lo spauracchio degli orsi per cui non avevo il permesso di oltrepassare i coni di luce dei due lampioncini a lato alla porta. E i muri spessi, spessissimi, più di mezzo metro, che mantenevano la casa al fresco. In quel momento ringraziai proprio quelli, e mi spalmai contro il muro dell’ingresso per assorbirne la freschezza asciutta e porosa mentre mi sfilavo le scarpe e le abbandonavo vicino al battiscopa.» (da Monteluce) Ancora (punto c), nell’estratto dell’Altra, c’è il chiaro uso di concordanza in frasi che si occupano del presente narrativo (Salutai la mamma con un bacio mentre guardava l’ennesima puntata di Downton Abbey) con passato remoto + imperfetto, e che indicano il “momento attuale” della narrazione. Maddalena (la protagonista) saluta la mamma nel presente narrativo con il passato remoto (salutai) e crea contemporaneità dell’azione di ciò che fa la mamma con l’imperfetto (guardava).
In realtà, non stiamo parlando di una regola precisa della narrativa ma della concordanza di tempi verbali, appunto, della grammatica italiana e dell’uso comune e corrente. Quando parliamo o quando scriviamo ci viene “naturale” (se ne abbiamo conoscenza perpetua, incluse le letture) concordare i verbi nella maniera corretta, creando contradditori temporali rispetto alla linea sopra detta, ma comunque corretti.
So che l’argomento potrebbe apparire più ostico di quanto non sia in realtà, dunque se avete dubbi o considerazioni, always, sono qui. Per esercitarvi: nella lettura critica, se notate difficoltà su questi argomenti, provate a fare l’analisi dei tempi verbali rispetto al presente narrativo.
Nel frattempo, altri due consigli di lettura:
Verbi, Italiano. Guide linguistiche Garzanti QUI
La concordanza dei tempi verbali. Raffaella Riboni QUI
Vi ricordo la scadenza
A presto,
G.
p.s. se volete condividere la vostra esperienza del LAB sui social, con storie, estratti delle lezioni o degli articoli e quant’altro mi sarà di grande aiuto per promuovere la prossima edizione; quindi, fin da ora: grazie!
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