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#2 – Romanzo o racconto? Una distinzione.

Buonasera, laboratorianti!

Come state? Trascorso bene il weekend? Spero che questo lunedì sia stato meno faticoso di quanto lo voglia lo stereotipo. Il primo incontro del LAB si avvicina, pronte?

 



Oggi parliamo della differenza (accademica e no) fra romanzo e racconto, a partire da una delle domande che mi avete fatto durante le valutazioni.

Monteluce è un romanzo o un racconto?”

 

Iniziamo parlando di numeri, ma partiamo da un presupposto: i numeri sono unicamente indicativi e non definisco nulla, ma possono essere un metro di giudizio delle CE (che accettano testi solo di tot cartelle o di meno di tot cartelle), delle riviste, dei concorsi e addirittura delle lettrici e dei lettori.

 

Convenzionalmente, la definizione in numero considera:

 

Mini racconto: sotto le 2000 parole

Racconto breve: dalle 2000 alle 5000 parole

Racconto: dalle 5000 alle 20.000 parole

Racconto lungo: dalle 20.000 alle 40.000 parole

 

Romanzo breve: fino a 50.000 parole

Romanzo: dalle 50.000 alle 80.000 parole

Romanzo lungo: oltre le 80.000 parole

 

Se vogliamo considerare solo queste informazioni, Monteluce sarebbe un racconto lungo (siamo sulle 30.000 parole). Ma non lo è. E non lo è perché il suo fulcro non è un solo evento, ma una concatenazione di eventi che creano una trasformazione – anche se, nel caso specifico, è una trasformazione da approfondire.

 

Prendiamo Lo Hobbit, circa 90.000 parole, un romanzo lungo sia di numero che di trama. Poi c’è La fattoria degli animali (26.000 parole circa), un romanzo – c’è più di un fulcro oltre che una forte critica politica e sociale. Proust con Alla ricerca del tempo perduto sfiora il milione e 200 mila parole, ed è un romanzo non per la lunghezza, ma per i temi trattati con la concatenazione (pur se lentissima, a tratti asfissiante) di più eventi che generano una trasformazione. 

 

Dunque, la distinzione sta nel contenuto più che nella grandezza del contenitore. Vediamo di approfondire di più.

 

Nel racconto Il bambino sporco di Mariana Enriquez (in Le cose che abbiamo perso nel fuoco, Marsilio, 2023) il fulcro principale è, per l’appunto, un bambino sporco che la protagonista vede vivere insieme alla madre drogata ai piedi del suo vialetto di casa in un quartiere malfamato di Buenos Aires. Tutta la narrazione si concentra e rimanda unicamente a lui e alle ripercussioni che questo bambino (il modo in cui vive, in cui parla, in cui è) ha sulla protagonista. Tutta la struttura narrativa ruota attorno a un unico grande fulcro, sia per temi sia per simbologia sia per trama. Al contrario, il romanzo della stessa autrice La nostra parte di notte si intervalla su più piani narrativi, più temi, più personaggi, più simbologie e ha un numero decisamente superiore di piani di lettura. È chiaro che il romanzo è solitamente più lungo del racconto proprio per queste motivazioni, ma non è la lunghezza a dare la distinzione a prescindere dal modo in cui una storia viene raccontata. Al contrario, è il modo a definire il romanzo o il racconto a prescindere dalla lunghezza.

 

In Monteluce – se non lo avete ancora concluso no spoiler – i temi sono molteplici, sia delle protagoniste sia della voce narrante sia in merito ai piani narrativi di simbologia e di atmosfera, così come anche gli sbocchi di trama, di ambientazione e di caratterizzazione. Quindi, al di là della lunghezza, si tratta a pieno titolo di un romanzo (da sistemare, sì, ma pur sempre un romanzo).  

 

Ma, attenzione, l’editoria in Italia è ancora spesso fossilizzata su questi aspetti, a volte per corrette questioni di marketing e di organizzazione, altre volte meno.

 

Per esempio, l’editore La Corte accetta solo manoscritti oltre le 240 cartelle (dunque circa 60.000 parole) ed è plausibile perché i romanzi che tratta – principalmente fantasy e fantastico – sono più apprezzabili in lunghezza per i lettori in target. Altri editori o concorsi, invece, scendono sotto il limite del racconto breve.

 

Insomma, tutto dipende (parola che dovrete usare spesso, e alla quale dedicherò un articolo intero).

 

Perché vi ho parlato di questa distinzione? Be’, perché per voi sarà importante quando dovrete consigliare o svolgere una consulenza a un vostro autore o a una vostra autrice, e sarà uno degli elementi da considerare nella scelta delle Case Editrici. A questo proposito, vi consiglio di fare una piccola “ricerca di mercato”. Andate nei siti delle CE, dei concorsi e delle riviste letterarie, scoprite qual è il numero di caratteri/parole richiesto, se è richiesto, e provate a fare una media. Studiate il mercato, i libri più letti, i gusti dei lettori. Anche queste sono informazioni importanti per l’editor. Ma ne riparleremo meglio.

 

Nel frattempo, il consiglio è quello di leggere il più possibile racconti e romanzi, cercando di fare una distinzione. Attente, però, potrebbero trarvi in inganno. Ad esempio, la raccolta Le nonne (QUI) di Doris Lessing contiene, in realtà, tre romanzi brevissimi, mentre sono racconti quelli narrati da Edith Wharton in Fantasmi (QUI). Sono romanzi anche quelli in tre righe (letteralmente!, QUI) di Félix Fénéon, mentre sono racconti quelli di Bianca Pitzorno in Sortilegi (QUI).

 

Il mercato, sempre, crea contenitori adatti a gestire un certo tipo di misura calcolabile, appunto, basandosi più sulla quantità che sul tipo. È un errore? Non saprei, ma potremo discuterne.

 

Dunque, buona lettura!

E buona serata,

G.

 

P.S. vi ricordo che in quanto partecipanti al LAB avete diritto a uno sconto del 15% su tutti i progetti del GDL Creativa 2024. Tra settembre e ottobre leggeremo proprio La nostra parte di notte di Mariana Enriquez: la MasterClass si terrà il 23 ottobre. Se volete partecipare vi basterà scrivermi per applicare lo sconto. Tutte le info QUI.

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