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#13 Editori e dintorni – collaborazioni

Buonasera, e buon inizio settimana.

Com’è andato il weekend? Spero proficuo di letture altre cose belle.


Oggi affrontiamo un altro argomento scottante: gli editori e il lavoro dei professionisti con p.iva.


Più di sei anni fa mi contattò un editore offrendomi il ruolo di editor per i suoi testi, uno dei primi. Feci una prova di valutazione; mi avevano richiesto una valutazione approfondita di un romanzo inedito (piuttosto bruttino). La prova piacque molto così entrai a far parte del team.

Non avevo un inquadramento in collana, lavoravo (come tutte le altre ragazze) ai testi che capitavano. Se avessi voluto avrei potuto portare un libro in Casa Editrice, addirittura scriverlo. Ero abbastanza libera, e abbastanza confusa. E, a dirla tutta, abbastanza sfruttata.


Il mio compenso era una percentuale sulle vendite degli eBook (era un editore digitale) del 5%. Mi spiego meglio. L’editore in questione pubblicava solo su Amazon. Amazon dà agli editori come agli autori tra il 60% o il 35% di royalty a seconda di più opzioni (magari le vediamo in un altro articolo) e la mia percentuale era il 5% o di quel 60% o di quel 35%, senza sapere il perché e il per come di una o dell’altra scelta. Oltre a questo, un forfettario di 100 € a libro. Così.


Ho fatto una cavolata ad accettare?

Ebbene sì. Tra poco vi spiego il perché (se non fosse già evidente anche dall’ultima lezione bonus).

Al tempo collaboravo già occasionalmente con due service e qualche editore. Ad oggi ho circa dieci editori tra i committenti (con collaborazioni non fisse, cioè un editore mi contatta e mi dice: “puoi?” e allora “sì o no” magari una o due volte l’anno) e con quattro service e aziende differenti. Diciamo che capisco decisamente meglio come funzionano le cose.


Quindi: perché non avrei dovuto accettare?

1. Io non sono un editore. Ciò significa che non sono un imprenditore, che non devo assumermi il rischio d’impresa (ne abbiamo parlato, ricordate? Il nostro è già bello altino). E questo vuol dire che non devo rischiare di prendere meno compenso se il libro non va bene.

2. Far assumere alle persone che lavorano per te il rischio d’impresa significa non essere un imprenditore, e questo dovrebbe dirla lunga.

3. L’editore in questione imponeva tempi folli e, cosa gravissima, non passava a una correzione di bozze dopo l’editing, ma a sole beta reading. Questo significa che il refuso era colpa mia, la virgola sbagliata pure. Ed ero a malapena pagata per l’editing*

4. Era mio compito, tra l’altro, impaginare il testo su un documento Word – ho detto tutto.


*Aneddoto: la chiusura definitiva della collaborazione con questo editore è stata dovuta proprio a una correzione di bozze. Avevo dovuto anticipare l’editing di un loro testo (scelto da loro e a mio parere non pubblicabile) di tre settimane (tre settimane!); perciò, il lavoro era stato fatto di fretta senza particolare attenzione ai refusi (che, lo ricordiamo: non sono compito nostro se svolgiamo solo editing). Mi era sempre stato detto che i testi passassero per una correzione di bozze approfondita. Eppure, alla consegna del file mi sono ritrovata a discutere animatamente (per non dire altro) con la redattrice e l’editore perché la “correttrice di bozze” (una beta reader) aveva fatto una lista degli errori riscontrati nel testo (una lista: era una beta, non una correttrice, che altrimenti avrebbe dovuto leggere il testo almeno due volte e applicare le correzioni). Si parla di parole doppie, di refusi, di virgole, di modifiche riportate male eccetera. A quel punto ho specificato che con i tempi stretti e con la sicurezza di una vera correzione di bozze avevo velocizzato la procedura. Putiferio: sarebbe stato compito mio correggere i refusi, assicurarmi che l’autrice rileggesse, tenere i contatti con le ragazze del marketing, individuare le parole chiave di Amazon, stilare la IV di copertina, impaginare e saltare su una gamba sola cantando trallallà. Tutto per il 5% di una percentuale improvvisata. Ho risolto strappando il contratto.


Dunque, come dovrebbe funzionare una collaborazione, davvero?

Con una quota a cartella.

In questo articolo di Redacta che vi ho già linkato (https://www.actainrete.it/2020/06/11/quanto-devo-farmi-pagare/) trovate una tabella di prezzi e dei ragionamenti molto interessanti (non è l’area riservata a pagamento, è a lettura free).


I tempi di pagamento non devono superare i 60 giorni, altrimenti è illegale. In editoria, 60 giorni sono una vera utopia (scusate la rima). Dunque, è chiaro che si accettano anche a 90 o a 120. Personalmente, cerco sempre di evitarlo.


Le collaborazioni devono sempre, sempre!, essere regolate da un contratto. Se potete, sottoponete questo contratto a un ufficio legale.


I compiti dell’editor (i vostri) devono essere scritti nel contratto. Devono essere chiari.

Per ogni libro (a meno che non siate assunte o non sia un progetto di gruppo) ci vuole un nuovo contratto (se avete partita iva, se invece siete assunte il contratto è iniziale e singolo).


I tempi di consegna devono essere stabiliti da principio. C’è un margine, è normale, ma deve essere anch’esso specificato. Ad esempio, un margine di cinque giorni prima o dopo; il margine massimo, insomma.


Ma come si fa a lavorare con un editore?

Be’, le opzioni sono due, nelle varie declinazioni.


A. L’editore vi contatta.

Solitamente vi arriverà una richiesta via mail (diffidate da chi vi contatta sui social, dai: le basi). Nella mail vi sarà richiesta una prova. O di editing o di valutazione o di correzione di bozze. Le prove di editing non dovrebbero essere mai più lunghe di 20 cartelle, per l’editore. Le valutazioni, invece, possono riguardare un romanzo intero, ma fatelo solo per editori ai quali siete davvero interessate. Dopo la prova, se andasse bene, vi sarà sottoposto il contratto, che deve sempre rispettare le regole di cui sopra.


Il lavoro può essere svolto totalmente da remoto, ma in alcuni casi la presenza in redazione è richiesta. Le redazioni, quelle vere, sono posti spettacolari: dunque, via, anche fuori casa.


B. Contattate voi l’editore.

E qui vi proponente, per una prova, e magari con già un curriculum alle spalle. Il resto viene come per l’opzione A, bisogna solo aggiungere un pizzico di coraggio e tanta, tanta pazienza.


Ne approfitto per un’altra cosa (scusate, l’articolo di oggi è lunghino!)

Nella scorsa edizione una studentessa mi ha posto due domande davvero interessanti che vorrei riportarvi – ricordandovi che potete porle anche voi, liberamente, sia su IG sia su Telegram sia via mail!


Ecco i suoi quesiti.


Sabato hai parlato brevemente di incarichi come editor esterno per una CE. Se avessi ricevuto questo testo da una CE, cosa avresti fatto diversamente? Avresti segnalato i punti da riscrivere senza suggerire all’autore sviluppi “creativi” della storia o esempi di sostituzione, come quelli che invece stiamo suggerendo all'autrice (per esempio il romanzo e la serie tv, oppure cosa inserire nei mesi tra febbraio e giugno)?


Parlo direttamente di cosa avrei fatto io e ricordo che ognuno ha idee e metodi diversi.

In prima battuta, se mi fosse arrivato questo testo (L’altra) da un editore avrei richiesto una call o un incontro per poter proporre una proroga. Date le potenzialità avrei spiegato all’editore che con due/tre mesi di editing e di confronto con l’autrice avremmo potuto avere ottime possibilità di riscontri positivi. Nel 90% dei casi mi avrebbero risposto di no (ma per quel 10% si prova sempre!) e a quel punto avrei stilato una lista di cose essenziali e strutturate da fare (dunque una sorta di valutazione per l’autore) e l’avrei consegnata all’autrice. Mettiamo un tempo (ragionevole) di un mese settimane prima della consegna alla correzione di bozze. Questa, più o meno, la mia “tattica”:

1. Un giorno di lettura + scheda macro (macro editing)

2. Un giorno di call con l’autrice per spiegare e chiarire questi dubbi

3. Una settimana di tempo all’autrice per effettuare le modifiche

4. Due settimane di rilettura delle aggiunte e cambi/modifiche e confronto con l’autrice (editing vero e proprio)

5. Il tempo restante per rilettura.


Nulla di più, purtroppo. Questo, però, non significa che il testo sarebbe stato uno schifo, significa solo lavorare in diminuzione e non in approfondimento (come invece stiamo facendo noi).


Se, come nel caso del romanzo che stiamo editando, l’autore/autrice non ha progettato tutte le componenti, di solito dai un consiglio per un prossimo testo, per esempio: stila una scheda personaggi, progetta come usare personaggi secondari e comparse, scrivi prima la fabula e poi “gioca” per costruire l’intreccio?


Considerate che ho già lavorato con questa autrice per un altro romanzo ed è stato un delirio (peggio di quello che stiamo facendo adesso, per la seconda volta) perché lei non è una che progetta (non so se l’avete notato!) per varie ragioni: in primis, non ha tempo per farlo e, inoltre, le viene tutto molto meglio in corsa (e questo non possiamo negarlo).

In generale, comunque, sì: avrei consigliato di creare una struttura più chiara, in particolare, almeno questi tre documenti:

1. Lista dei personaggi primari e secondari.

2. Fabula + intreccio.

3. Idee possibili non inserite nel testo.


Visto che hai accennato al fatto che il testo si è arricchito di pagine e che l’editing andrebbe pagato, è meglio inserire una postilla al contratto iniziale in cui si dice che, in caso di aggiunte, il compenso sarà di X euro a cartella?


Certo! Meglio inserire direttamente una postilla o un articolo nel contratto. Direi che il compenso non varia (io almeno faccio così), ovvero quello deciso all’inizio (mettiamo 5,00 € a cartella) varrà anche per le cartelle aggiunte.


Bene. Tutto qui.

Vi ricordo la scadenza per l’esercizio domani alle 18:30.

Se avete dubbi sapete dove trovarmi,

Buona serata!

G.



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