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#1 – L'editing è un metodo

Buonasera, laboratorianti!

Come promesso, ecco qui il primo articolo di approfondimento.

Iniziamo cariche questo percorso.

 


Oggi parliamo di editing, e di metodo.

 

Il titolo, però, dovrebbe essere diverso, quindi lo correggo: L’editing è (anche) un metodo.

 

Anche, certo, perché l’editing è tante cose: lo studio e la teoria della narratologia; lo studio e la teoria della storia dell’editoria e della filiera e di un pizzico di marketing, l’esperienza e le capacità personali e, in fine ma non per importanza, il metodo. Il vostro metodo.

 

Nelle ultime newsletter e in un post su IG ho dato una definizione di editing il più oggettiva possibile. Ve la riporto per semplicità:

 

L’editing è un intervento di confronto sia pratico sia teorico sui testi che possiedono a priori una struttura o i quattro pilastri narrativi pressocché definiti e che mira a correggere, suggerire, revisionare e attenzionare elementi errati, incoerenti, pertinenti o non pertinenti alla storia o alla destinazione di riferimento con l’obiettivo di rendere il testo narrativo, o saggistico o manualistico, al meglio possibile e prospettabile rispetto alla base di partenza senza alterarne la natura.

 

Di questo, vi ho anticipato qualcosa già nel lancio del LAB e durante il webinar, ma lo ripeto: quello che il laboratorio vuole fare e che mi auguro accada è indirizzarvi nella scoperta del vostro unico e personale metodo di lavoro.

 

Perché il lavoro sui romanzi – generalmente indicato come l’attività di valutare, di correggere e suggerire e di aggiustare sotto tutti gli aspetti contenutistici e stilistici un testo – è in grande misura un approccio unico e personale che ognuna di voi sviluppa a partire dal suo gusto e dalla sua sensibilità (intesa proprio come capacità di riconoscere un dato elemento narrativo e distinguerlo all’interno di un romanzo), e che si va formando seguendo le regole di oggettiva analisi (ovvero la teoria), lo studio e le esperienze vissute durante la lettura.

 

Sembra un discorso più complicato di quanto non sia, ma cerco di spiegarmi meglio: tutte noi partiamo dal nostro gusto, da ciò che ci piace, e per questo poi scinderlo da ciò che funziona risulta complicato – ma non c’è altro modo, per lo meno non all’inizio. Partendo dal nostro gusto e dalla nostra sensibilità arriviamo poi, attraverso lo studio e l’esperienza, a saper distinguere il soggettivo dall’oggettivo, il bello soggettivo dal bello oggettivo, così come il brutto; e, soprattutto, attraverso il nostro metodo di lavoro e di approccio ai testi (e a chi quei testi li ha scritti) arriviamo a saper gestire editing e valutazioni diametralmente opposte, o che richiedono strutture di valutazione e di confronto con l’autrice/autore differenti.

 

Questo significa forse che dobbiamo essere editor qualunquiste?

 

Certamente no. Come professioniste potete decidere di lavorare a un solo filone (di genere o di stile), e – lasciateci questa gioia! – decidere anche con quali tipi di romanzi lavorare. Oppure decidere di essere onnivore – solo a patto che lo siate anche come lettrici – ma di questo parleremo più avanti.

Per ora, concentriamoci sul metodo.

 

So che è difficile decidere a tavolino “il metodo” (soprattutto se si parla di lavoro creativo e artigianale) e in effetti non penso sia il modo migliore per farlo. Quello che, invece, a mio parere funziona è lo sperimentare. L’approccio alle persone è qualcosa di talmente intimo e insito nel nostro carattere che non si può comandare, né insegnare se non oltre i buoni canoni di comunicazione e educazione, ma quello ai romanzi è tutta un’altra storia.

 

Il metodo di lavoro lo si costruisce con gli anni e lo si modella di volta in volta, indossando un abito diverso per ogni occasione, modulando la voce dei commenti o delle revisioni e ciò che cerchiamo in un testo a seconda di quello che ci viene proposto. Sperimentare metodi nuovi (durante il LAB potrete farlo in un ambiente, chiamiamolo così, protetto) è un ottimo punto di partenza per capire quale fa al caso vostro, sia a livello di personalità sia per quanto riguarda l’organizzazione della vostra vita al di fuori del lavoro.

 

Per metodo, però, non intendo soltanto le fasi di lavoro (lettura + preventivo oppure prova + preventivo + confronto oppure preventivo e consulenza + prova e editing ecc.), ma l’approccio, il criterio di modifica del romanzo e di intervento sulla storia.

 

Faccio l’esempio con quello che è il mio metodo, che potrebbe essere anche parte del vostro oppure no. Il mio criterio di modifica si basa su cinque semplici domande che ho individuato solo dopo un bel po’ di tempo ed esperienza. Dopo il primo anno dall’apertura della partita iva, e dunque dopo due anni di lavoro, mi sono resa conto che i miei commenti macro/content (che quelli di micro/line sono per natura imprevedibili) o le mie revisioni apparivano (in maggior misura, chiaramente, non in maniera assoluta) in risposta a cinque domande. Le scene, i dialoghi, le strutture e gli elementi narrativi: grandissima parte dei miei interventi si rifacevano a questi interrogativi:

 

Nell’economia narrativa specifica di questo romanzo, questa scena/frase/capitolo ecc. è necessario?

Nella narrazione complessiva specifica di questo romanzo, questa scena/frase/capitolo ecc. ha uno scopo?

A livello contenutistico e/o a livello stilistico, in questo romanzo specifico, questa scena/paragrafo/capitolo ecc. è coerente?

Nella narrazione complessiva specifica di questo romanzo, questa scena/paragrafo/capitolo ecc. supporta uno dei quattro pilastri narrativi? – trama, personaggi, atmosfera e stile

Nella narrazione peculiare specifica di questo romanzo, questa scena/frase/capitolo ecc. è comprensibile?

 

Ora, prima una piccola legenda.

Per economia narrativa si intende generalmente il riferimento alla lunghezza del testo in rapporto a ciò che ha da dire (ovvero, semplificando al massimo: se possiamo dire bello al posto di splendido diciamo bello).

Per narrazione complessiva si intende la storia nella sua totalità; mentre per narrazione peculiare si intende quella parte di storia, che può riferirsi a un atto narrativo o a una scena prolungata.

 

Dunque, se la risposta a queste domande era , allora non toccavo nulla o modificavo/commentavo di poco; se la risposta era no allora revisionavo o commentavo approfonditamente.

 

Questo fa parte del metodo, ma non è tutto. Nel metodo figura anche l’approccio, e ognuna dovrebbe avere un approccio differente. Così come le voci degli autori e delle autrici si dovrebbero poter distinguere, a mio parere anche un buon editor dovrebbe avere una voce propria. Attenzione, però: la “voce” a cui mi riferisco qui non è e non dovrebbe mai riferirsi a un’intrusione nel testo ma a un approccio, appunto, un atteggiamento verso il testo e verso chi lo ha scritto.

 

Di metodo e di approccio ne parleremo ancora, per ora vi lascio con un’altra frase di Grazia Cherchi che vi consiglio di approfondire:

 

“ […] faccio i segni a matita: l’editor non è una ghigliottina. All’autore mi presento con la gomma in mano, pronta a cancellarli. Però, avverto: peggio per te.”

 

Ah, la sentite la voce? Di Grazia Cherchi: Scompartimento per lettori e taciturni QUI e la breve biografia Grazia Cherchi QUI.

Ecco il file:

 

Se avete domande o dubbi, sapete dove trovarmi.

Vi ricordo che potete utilizzare il canale Telegram per scambiarvi opinioni o porre domande che possono essere utili a tutte.  

Noi ci risentiamo lunedì con il secondo post,

e grazie!

 

Gloria

 

P.S. se volete approfondire un argomento specifico, scrivetemi! Lo inserirò nella lista di articoli del LAB.

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